Orto di Donna 18 ottobre 1998.
Il cielo è coperto di nuvole nere gonfie di acqua che coprono la vista della foce di Giovo e di Cardeto, in questa situazione risaltano maggiormente il biancore delle cave e le ferite inferte alla montagna sembrano ancora più profonde.
I colori dell'autunno appaiono nella loro immensa bellezza, le gradazioni del colore delle foglie ancora presenti sugli alberi formano delle tavolozze stupende, ancora alcuni giorni, un po' di pioggia ed il vento e il tappeto sarà pronto a ricevere la prima neve.
Non molti hanno accettato l'invito a venire al rifugio Donegani per far sentire la propria voce per il ripristino ambientale delle cave dismesse.
E' sempre più difficile trovare persone disponibili a sacrificare il proprio tempo libero per sostenere iniziative che interessino tutti.
Ma ormai anche a questo si è fatta l'abitudine e dobbiamo essere contenti già al fatto di ritrovarsi ogni tanto.
Saremo poco più di una ventina contando anche due carabinieri, tre guardaparco, il presidente de parco, un operatore ed il giornalista della RAI.
Si inizia la salita per raggiungere la cava 25, qui è prevista l'azione di ripulitura di questa cava abbandonata all'attività estrattiva ormai da diversi anni.
Durante l'avvicinamento ho il piacere di conoscere e di parlare con Angelo Nerli, l'autore insieme con altri della famosa guida dei monti d'Italia delle Apuane.
Alcuni compagni di salita con sacchetti neri di plastica, guanti di stoffa di Legambiente e nipotini al seguito, raccolgono residui di plastica o ferro lasciati durante il periodo in cui le cave erano attive.
La marmifera che parte dal rifugio Donegani attraversa tutte le cave fino alla più alta chiamata cava 27 appena sotto al passo delle Pecore dove attualmente il Parco sta costruendo un nuovo rifugio alpino, gli scriverò proponendo di chiamarlo " Rifugio Miracave".
In tutto questo contesto di disfacimento di questa vallata, mentre faticosamente proseguo la salita, mi viene da domandarmi il senso di ciò che stiamo facendo. Dalla montagna è stato estratto tutto il possibile, con il sole la luce del riflesso di questo biancore è insopportabile e accecante, sulla marmifera quando piove la polvere di marmo forma un pantano incredibile, se tira un po' di vento la silicosi è assicurata.
Penso che al massimo fra due anni la Foce al Giovo sarà raggiunta dalla estrazione della cava che attualmente si trova un centinaio di metri al disotto.
L'ambiente è stato dunque irrimediabilmente snaturato e noi? Raccogliamo dei piccoli pezzi di plastica o bottiglie di vetro lasciate durante la lavorazione del marmo!
Proprio non riesco a capire ma continuo a salire, spero di convincermi prima di arrivare a cava 25; chiedo aiuto anche a Gianni Ledda che è l'anima del gruppo e l'organizzatore di questa manifestazione, sicuramente avrà la risposta giusta per fugare i miei dubbi, ma, dopo un attimo di silenzio probabilmente per pensare la risposta, mi dice: "Siamo quasi arrivati, c'è da portare via un sacco di robaccia!".
Sempre più scettico continuo a salire perché ho sempre creduto fermamente alla necessità che una volta terminata la lavorazione del marmo l'ambiente circostante le cave venga se non altro lasciato libero da tutti i residui e gli avanzi della lavorazione ed è proprio questo che cerco di dire con estrema convinzione quando mi ferma il telecronista di rai3 per intervistarmi lasciando perdere tutti i dubbi che mi assalgono.
Alla cava da ripulire togliamo una serie di porcherie che saranno state qualche quintale e le ammassiamo in attesa che arrivi il camion per portare tutto alla discarica.
Salgo fino al Passo delle Pecore, dal mare salgono umide nebbie che impediscono ogni visibilità, da qui il panorama sulla vallata di Orto di Donna è desolante, osservo con tristezza la cava 25. E' tutta bianca e pulita, non c'è più ferro e tubi di plastica a giro, anche una gomma di una ruspa è stata portata via!
Sembra quasi finta.
Scappo nel bosco di faggi verso la foce di Cardeto per fuggire a questa visione.
Nel bosco lascio anche il sentiero, il paleo bagnato, le roccette fradice e il terreno scivoloso mi fanno concentrare sul percorso e dimentico momentaneamente le cave e il lavoro della mattinata. Poi inizia anche a piovere ed è veramente bellissimo.
Il sentiero di discesa porta attraverso un bosco bellissimo fino in fondo alla vallata e termina in prossimità dell'enorme ravaneto che si trova appena prima del Rifugio Donegani.
I momenti di estraniazione sono terminati, la realtà ti viene sbattuta in faccia con brutalità, una discarica enorme di scarti di marmo che non arrivano ad invadere la sede stradale solo perché alcuni enormi lisci blocchi posti al bordo ne sbarrano il rotolamento.
Tiro fuori dallo zaino la bomboletta di vernice rossa e sul più grande scrivo:
BENVENUTI NEL PARCO.
Firenze, 19 ottobre 1998.